Psicologia Sociale

Psicoloigia sociale

Psicologia Sociale

La psicologia sociale è una branca della psicologia che studia come le persone pensano, si influenzano reciprocamente e interagiscono in contesti sociali. Si concentra sulla comprensione di come le nostre cognizioni, emozioni e comportamenti sono influenzati dalle altre persone e dall’ambiente sociale.

La psicologia sociale utilizza una combinazione di metodi di ricerca, tra cui studi di laboratorio, esperimenti, ricerche sul campo e analisi di dati quantitativi e qualitativi, per comprendere meglio i processi sociali e le influenze che operano all’interno delle interazioni umane. Questi studi forniscono una base teorica e pratica per comprendere il comportamento umano nel contesto sociale e per sviluppare interventi mirati a migliorare le relazioni e la convivenza sociale.

Principali temi collegati alla Psicologia Sociale

In questo articolo affronteremo 5 temi legati alla Psicologia Sociale:

  1. Cognizione Sociale
  2. Le Attribuzioni
  3. L’influenza Sociale
  4. Gli Stereotipi Sociali
  5. I Pregiudizi

La cognizione sociale

La cognizione sociale è l’insieme delle attività mentali con cui “conosciamo” persone e situazioni del contesto sociale in cui viviamo.

La cognizione sociale è fondamentale per il funzionamento sociale adeguato e per la costruzione di relazioni interpersonali positive. Cerchiamo di capire quali strategie aziona la nostra mente quando “valutiamo” una persona e di studiarne i meccanismi:

  • la nostra percezione degli altri
  • il ragionamento sociale e l’euristica
  • i diversi tipi di euristiche

La nostra percezione degli altri

A guidarci nel processo di “valutazione” di una persona sono alcuni meccanismi fondamentali:

  1. l’effetto Primacy
  2. le teorie implicite della personalità
  3. l’effetto Alone

L’effetto Primacy è un fenomeno per il quale le prime informazioni ricevute permettono di comprendere le informazioni successive. Esso opera spesso nella nostra valutazione delle persone. Molto spesso diciamo “ho avuto una buona impressione di quella persona“. Questa “buona impressione” ci spinge molto spesso a sovrastimare qualcuno, così come se “ho avuto una cativa impressione” ci porta ad esprimere giudizi negativi affrettati. Un esperimento in tale senso venne fatto dallo psicologo polacco Solomon Asch (1907-1996).

Il modo in cui formiamo le impressioni sulle persone è guidato dalle teorie implicite della personalità, ovvero dalle convinzioni sul modo in cui i diversi tratti psicologi si associano tra loro. Ad esempio se ci viene detto che una persona è “altruista” assoceremo stabilmente ad essa anche la “generosità” o altre qualità positive.

La nostra tendenza ad associare automaticamente qualità dello stesso tipo può però portare ad un errore di valutazione che gli psicologi chiamano effetto alone, ovvero la tendenza ad estendere un giudizio su un singolo tratto di personalità ad altri.

Il ragionamento sociale e l’euristica

Nelle nostra vita sociale molto spesso dobbiamo anche risolvere piccoli o grandi problemi e prendere decisioni, affindadoci ad una forma di ragionamento (ragionamento sociale) che, rispetto a quello classico, si serve di alcune strategie cognitive che permettono di semplificare i molti dati di cui si dispone e di prendere una decisione in tempi brevi. Gli psicologi Amos Tversky (1937-1996) e Daniel Kahneman (vivente) hanno dato a tali strategie il nome di euristiche.

Esistono diversi tipi di euristiche:

  1. euristica della rappresentatività (strategia mentale per cui le persone, quando devono stabilire la probabilità di un certo evento,  si basano sulla somiglianza tra l’evento e la classe a cui dovrebbe appartenere. Ad esempio, se incontriamo in palestra una persona atletica, alta 2 metri, pensiamo che sia un giocatore di basket o di pallavolo, dal momento che il suo aspetto corrisponde all’immagine che ci siamo fatti di coloro che praticano questi sport);
  2. euristica della disponibilità il meccanismo in virtù del quale le persone tendono ad attribuire a un evento un grado di probabilità proporzionale alla facilità con cui ne ricordano il manifestarsi. Ad esempio consideriamo più probabile essere vittima di un incidente aereo, rispetto ad un incidente automobilistico, in quanto una sciagura aerea ha un impatto mediatico maggiore);
  3. euristica della simulazione (è il meccanismo in base al quale le persone cambiano i loro giudizi e le loro reazioni emotive di fronte ad eventi in base alla facilità con cui riescono a figurarsi una situazione alternativa. Ad esempio se perdiamo un treno per pochi secondi, siamo sicuramente più dispiaciuti rispetto ad averlo perso per 15 minuti. Questo perchè iniziamo a pensare che se avessimo camminato più velocemente non lo avremo perso. In altre parole le persone tendono ad immaginare come sarebbero potute andare le cose rispetto a ciò che è effettivamente accaduto).

Le attribuzioni

L’attribuzione è il processo con cui si interpretano i comportamenti propri e degli altri individuando le possibili cause.

Un tipico esempio è quando una persona che dobbiamo incontrare non si reca all’appuntamento fissato. Dopo un po’ inizieremo a chiederci il motivo del ritardo. Non è venuto intenzionalmente? Ha avuto qualche impedimento e non ci ha potuto avvisare? Esistono diversi modi in cui si tende a spiegare e interpretare quanto accaduto (stili di attribuzione):

  1. la distinzione di Heider
  2. gli sviluppi di Rotter
  3. il modello di Weiner

Lo studioso austriaco  Fritz Heider (1896-1988) ha affermato che il processo di attribuzione risponde al bisogno di ogni persona di capire la realtà che lo circonda e di prevederne gli sviluppi con una certa approssimazione.

Heider ha identificato due tipi di attribuzioni che le persone tendono a fare:

  1. attribuzioni interne (la causa di un evento viene cercata nella persona che agisce. Ad esempio se parlando di una persona diciamo che “è stato abile e capace a diventare un influencer famoso”, facciamo una attribuzione interna);
  2. attribuzioni esterne (quando si attribuiscono cause estranee al suo controllo o alla sua volontà. Ad esempio se diciamo “è stato molto fortunato” facciamo una attribuzione esterna).

Sulla base di questa distinzione Julian Rotter (1916-2014) ha individuato due stili di attribuzione principali:

  1. lo stile di attribuzione interna (gli individui ritengono che le esperienze di una persona siano attribuibili a caratteristiche proprie, come ad esempio il temperamento, la volontà e l’impegno. Ad esempio, se una persona ottiene un buon voto in Scienze Umane, attribuirà il risultato al proprio impegno nello studio);
  2. lo stile di attribuzione esterno (in base al quale gli individui tendono a dare importanza a fattori esterni, come le circostanze, la fortuna, l’influenza degli altri. Ad esempio, se una persona non ottiene un lavoro desiderato, potrebbe attribuire la mancata assunzione alla sfortuna o a una decisione del datore di lavoro).

Rotter ha introdotto il concetto di locus of control, ovvero il grado di controllo che l’individuo percepisce di avere sugli eventi della propria vita. Le persone con un locus di controllo interno tendono a attribuire i risultati delle proprie azioni e gli eventi della loro vita a fattori interni (propri della persona), mentre le persone con un locus di controllo esterno tendono a attribuire i risultati delle proprie azioni e gli eventi della loro vita a fattori esterni (come la fortuna).

Psicologia sociale : attribuzioni di Heider e Weiner

Lo psicologo Bernard Weiner ha proposto una  nuova lettura dei processi di attribuzione. Il suo modello nel quale spiega che le persone fanno uso di tre parametri principali per rendere ragione degli eventi legati alle loro esperienze:

  1. Il carattere interno o esterno
  2. La stabilità
  3. La controllabilità.

Ad esempio, se diciamo che l’incidente stradale è causato da una lastra di ghiaccio, stiamo dicendo che è provocato da una causa esterna (non è colpa del guidatore) instabile (perché non sempre c’è il ghiaccio sulla strada) e incontrollabile (non possiamo prevedere che il ghiaccio si formi).

Se invece diciamo che l’incidente è causato dallo stato di ebbrezza del guidatore, stiamo dicendo che è provocato da una causa interna (colpa del guidatore) instabile (perché il guidatore non è sempre ubriaco) e controllabile (perché può decidere se bere a dismisura o con moderazione).

Stili attributivi nella vita scolastica

I processi di attribuzione si attivano spesso nella realtà scolastica, guidando il modo in cui studenti e docenti interpretano successi e fallimenti nel percorso di apprendimento.

Weiner combinando i tre parametri principali, ha individuato tutti i possibili tipi di attribuzione:

  1. Interno-stabile-controllabile
  2. Esterno-stabile-controllabile
  3. Interno-stabile-incontrollabile
  4. Esterno-stabile-incontrollabile
  5. Interno-instabile-controllabile
  6. Esterno-instabile-controllabile
  7. Interno-instabile-incontrollabile
  8. Esterno-instabile-incontrollabile

Il punto è capire quali possano essere i modelli interpretativi “vincenti”, in grado di favorire il percorso di apprendimento di un allievo, mettendolo nelle condizioni migliori per svolgere compiti diversi e superare ostacoli.

I biases di attribuzione

Secondo gli studiosi nell’operare attribuzioni possiamo incorrere in tendenze distorsive della mente umana, capaci di creare errori di valutazione e di giudizio (biases). Tra le più diffuse ci sono:

  1. errore fondamentale di attribuzione (tendenza a valutare il comportamento di una persona privilegiando le attribuzioni interne rispetto a quelle esterne. Spesso spieghiamo il comportamento delle persone sottovalutando il peso di fattori esterni a favore di fattori interni ai soggetto che agiscono. Ad esempio possiamo giudicare la nostra professoressa di matematica molto pignola – attribuzione interna-, senza tenere conto che la matematica è una materia che richiede precisione e cura nei dettagli);
  2. self-serving bias (tendenza ad attribuire i propri successi a cause interne e i propri fallimenti a cause esterne. Ad esempio Marco ha preso un brutto voto in Italiano, ma attribuisce questo al fatto che il compito era difficile e alcuni argomenti sono stati spiegati quando era assente);
  3. effetto sé-altro (meccanismo per cui i processi di attribuzione di un individuo si modificano a seconda che egli sia protagonista o no di una certa situazione. Ad esempio durante un litigio con un altra persona, si è portati a dare più peso agli insulti dell’altra persona, rispetto a quelli che avete pronunciato voi, giustificabili dal momento di collera).

L’influenza sociale

Meccanismo psicologico per cui il pensiero, i sentimenti e i comportamenti delle persone (“fonte”) sono modificati dalla presenza (reale o immaginaria o implicita) di altre persone (“bersaglio”).

A differenza del significato del termine “influenza” usato nel linguaggio quotidiano (ovvero “azione esercitata da una cosa o da una persona su un’altra), in psicologia tale termine ha caratteristiche diverse:

  1. è spesso bidirezionale, ovvero le persone sono contemporaneamente soggetto e oggetto di influenza. In altri termini non trasmettono solo il messaggio (“fonte”) ma lo ricevono anche (“bersaglio”);
  2. l’influenza sociale può avvenire anche senza che la “fonte” sia materialmente presente, ma è sufficiente che venga materialmente percepita come “vicina” sotto il profilo affettivo ed emotivo (ad esempio il ricordo di una persona defunta);
  3. l’influenza può prodursi a prescindere daf fatto che la “fonte” da cui proviene intenda effettivamente esercitarla (ad esempio nella Moda, una persona può adottare un particolare look, che si diffonde senza necessariamente che lui voglia farlo).

I meccanismi dell’influenza sociale

Quando una persona si trova esposta all’influenza degli altri, può reagire in diversi modi:

  1. con un cambiamento puramente esteriore della condotta (acquiescenza), provocato dalla possibilità di ricevere ricompense e punizioni dalla fonte (“fonte potente”). In altre parole una persona può cambiare il proprio atteggiamento ma solo perchè vuole evitare una punizione o ricevere una ricompensa;
  2. modificando pensieri, sentimente e comportamenti al fine di mantenere una relazione gratificante con la fonte (“fonte attraente”) di influenza (identificazione). Ad esempio se un ragazzo si innamora di una persona che ha stima verso coloro che hanno un buon rendimento scolastico è molto probabile che il nostro soggetto farebbe di tutto per migliorare il proprio profitto scolastico;
  3. mutando il proprio pensiero, sentimenti e comportamenti in modo consapevole e profondo provocato da una fonte (“fonte credibile”) in grado di suscitare nella persona un atteggiamento positivo, condivideno le ragioni e i punti di vista della fonte (interiorizzazione). Ad esempio se un ragazzo incontra nel suo percorso scolastico una persona che riesce a fargli cogliere il valore dello studio, lui cambierà atteggiamento al fine di meritarsi il rispetto della persona (“fonte”)

Alcune forme di influenza sociale

A partire dalla prima metà del Novecento, sono state analizzate diverse forme di infuenza sociale:

  • Consenso e normalizzazione: nel 1935 Muzafer Sherif ha studiato la formazione del consenso attraverso una serie di esperimenti, arrivando alla conclusione che all’interno di gruppi più o meno ampi di persone si giunge ad una uniformità di pensiero e di giudizio. Le persone, in gruppo, tendono a modificare le proprie opinioni, senza accorgersene, uniformandole a quelle del gruppo. Per lo studioso, in situazioni di incertezza, ovvero privi di criteri oggettivi per stabilire la verità di un giudizio o una affermazione, la ricerca del consenso prende il sopravvento sui giudizi individuali. I diversi soggetti elaboravano una “norma” comune (“normalizzazione”)
  • Conformismo: in presenza di criteri oggettivi, Solomon Asch, attraverso un esperimento, arrivò alla conclusione che un individuo è portato ad allinearsi alle opinioni, agli atteggiamenti e ai comportamenti di un certo gruppo sociale per essere accettato dal gruppo stesso (processo di conformismo).
  • Sottomissione all’autorità: nel 1965, lo psicologo Stanley Milgran, attraverso un esperimento, volle testare l’obbedienza all’autorità, arrivando alla conclusione che le persone sono sensibili all’influenza dell’autorità molto di più di quanto si possa credere e di quanto esse siano disposte ad ammettereL’influenza esercitata dall’autorità (una persona che da dei comandi da eseguire) crea una particolare condizione (stato eteronomico) in cui il soggetto si sente responsabile non di ciò che fa, ma verso la persona che glielo prescrive.

Gli stereotipi sociali

Nella nostra conoscenza delle altre persone ci facciamo guidare spesso da stereotipi, ovvero generalizzazioni e concetti preconfezionati che vengono applicati ad un determinato gruppo di persone o ad una determinata categoria sociale, in base a caratteristiche superficiali, come l’etnia, il genere, la religione, l’orientamento sessuale, la nazionalità, la professione e così via. Essi possono influenzare la nostra percezione degli altri e possono essere basati su pregiudizi o mancanza di conoscenza accurata. Molto spesso le persone, in presenza di informazioni limitate, ricorrono alla categorizzazione, che ci costringe ad operare generalizzazioni.

I meccanismi di azione degli stereotipi

Gli stereotipi cominciano ad agire fin dal livello della percezionein quanto ci spingono a notare maggiormente le differenze tra gruppi che quelle tra gli elementi di uno stesso gruppo e guidano, in maniera inconsapevole, le nostre aspettative nei confronti delle persone (meccanismo di accentuazione).

Oltre all’attività percettiva gli stereotipi influenzano anche altre operazioni cognitive, quali la selezione e la memorizzazione delle informazioni. Essi infatti orientano il modo in cui noi valutiamo e immagazziniamo le informazioni, portandoci a privilegiare quelle che confrmano la nostra visione stereotipata delle cose. Se, ad esempio, un automobilista condivide lo stereotipo maschilista della “donna incapace di guidare”, ricorderà più facilmente le infrazioni al voltante commesse dalle donne che non dagli uomini.

Inoltre, gli stereotipi definiscono preliminarmente le nostre aspettative nei confronti delle persone. Ad esempio “tutti i genovesi sono tirchi” quando in realtà non è così.

Autoconvalida

Meccanismo psicologico in virtù del quale un’affermazione o una convinzione viene mantenuta anche a dispetto di esperienze dirette contrarie. Ad esempio, ritornando all’esempio di prima, anche se trovo un genovese spendaccione, non cambio la mia convinzione che “tutti i genovesi sono tirchi”.

I pregiudizi

Prima di analizzare i pregiudizi, dobbiamo partire dalla definizione di atteggiamento:

Un atteggiamento è il diverso grado di favore o sfavore con cui un individuo si pone interiormente nei confronti di un oggetto sociale (persona, gruppo, istituzioni,..)

Quando l’oggetto dell’atteggiamento è un gruppo o una categoria sociale si parla di pregiudizio. Un pregiudizio può essere positivo, quando si traduce in apprezzamento e favore nei confronti del gruppo o della categoria sociale, o può essere negativo nel caso opposto. Gli studiosi sono più attirati dagli effetti che il pregiudizio negativo è in grado di produrre (pensiamo al Nazismo, alla emarginazione nazista contro i neri d’America…). Termini specifici negativi nei confronti di certe categorie sociali, sono nati a causa di alcuni pregiudizi negativi:

  • antisemitismo (odio e disprezzo nei confronti degli ebrei);
  • xenofobia (atteggiamento di rifiuto nei confronti dello straniero);
  • omofobia (avversione nei confronti delle persone omosessuali)

Origine dei pregiudizi

Sull’origine dei pregiudizi sono state formulate diverse teorie:

  1. la personalità autoritaria di Theodor Adorno;
  2. la teoria dell’identità sociale di Henry Tajfel;
  3. l’influenza sociale e la formazione dei gruppi di Muzafer Sherif

Theodor Adorno
Il sociologo tedesco Theodor Adorno analizzò l’ondata di antisemitismo negli anni trenta e quaranta del novecento. Notò che il pregiudizio si diffuse più facilmente tra individui dotati di una personalità particolare, da lui definita “personalità autoritaria“.  Secondo la sua prospettiva, il pregiudizio non è semplicemente una questione di atteggiamenti individuali, ma è radicato in profonde dinamiche sociali ed economiche. L’autoritarismo, come concetto chiave nella sua teoria, si riferisce a una tendenza psicologica delle persone a sottomettersi all’autorità e ad adottare atteggiamenti rigidi, stereotipati e discriminatori verso i gruppi emarginati.

Adorno sosteneva che l’autoritarismo si sviluppa come meccanismo di difesa psicologica contro l’incertezza e l’ansia derivanti da una società caratterizzata da disuguaglianza sociale e oppressione. L’individuo autoritario cerca sicurezza e ordine attraverso l’adesione a valori tradizionali, l’accettazione acritica dell’autorità e l’attribuzione di colpa e discriminazione verso gruppi sociali considerati diversi o minacciosi.

Secondo Adorno, il pregiudizio si manifesta attraverso l’internalizzazione di stereotipi culturali e sociali, che possono essere perpetuati e rinforzati da istituzioni sociali, media e interazioni interpersonali. Questo può portare a comportamenti discriminatori e alla perpetuazione delle disuguaglianze sociali.

Adorno ha sostenuto che il superamento del pregiudizio richiede una critica profonda delle dinamiche sociali e culturali che lo sostengono. Ha enfatizzato l’importanza della consapevolezza critica, della riflessione individuale e dell’educazione per promuovere la comprensione interculturale, il rispetto e l’uguaglianza.

Tuttavia, la teoria di Adorno non è priva di critiche. Alcuni studiosi hanno sollevato dubbi sul concetto di personalità autoritaria e sulla sua generalizzabilità, sostenendo che le dinamiche del pregiudizio sono complesse e influenzate da molteplici fattori sociali, culturali ed economici.

In ogni caso, l’opera di Theodor Adorno ha contribuito a una comprensione critica del pregiudizio e ha influenzato la psicologia sociale e la teoria critica nella loro analisi delle dinamiche sociali e delle disuguaglianze.

Henry Tajfel
Henry Tajfel, psicologo britannico,  nella sua teoria dell’identità sociale, affermò che il pregiudizio attecchisce anche sulle persone che cercano di difendere la propria identità sociale (complesso di tratti che ci caratterizza e ci distingue nel confronto con gli altri). Secondo Tajfel noi non ci limitiamo a classificare cose e persone in categorie ma stabiliamo anche chi fa parte del nostro gruppo di appartenenza (ingroup) e chi ne è fuori (outgroup).

Muzafer Sherif
Infine, l’ultima teoria elaborata da Muzafer Sherif, psicologo sociale turco-americano, mostrò come la competizione tra i gruppi per il raggiungimento di uno stesso obbiettivo possa generare altri pregiudizi. Sherif arrivò a questa conclusione grazie alla ricerca su un gruppo di ragazzi che partecipavano ad un campeggio estivo:

Nel 1954 Muzafer Sherif all’epoca professore di psicologia sociale alla University of Oklahoma , condusse il primo dei suoi studi nel campo estivo di Robbers Cave. I partecipanti erano ragazzini di 11-12 anni che non si conoscevano tra di loro e furono suddivisi in 2 gruppi e fatti alloggiare in baracche distanti. Alla fine della settimana si creò un legame profondo tra i ragazzi. I ragazzi di entrambi i gruppi esibivano con orgoglio su magliette e bandiere i nomi che si erano scelti. Successivamente i ragazzi di entrambi i gruppi furono informati della presenza di un altro gruppo nelle vicinanze. I ragazzi desideravano fare delle partite di baseball o tiro alla fune e lo staff organizzò tali gare. La squadra vincente avrebbe vinto un coltellino tascabile per ogni membro del gruppo ed anche una coppa. Le gare iniziarono sportivamente ma con il passare del tempo emersero le prime ostilità: i membri di ciascun gruppo iniziò a dare dei nomiglili ai rivali, alla fine i ragazzi sceglievano di evitare qualsiasi contatto con l’altro gruppo. I ragazzi svilupparono dei forti sentimenti di antipatia nei confronti del gruppo estraneo perchè erano in competizione con loro per qualcosa a cui attribuivano un grande valore e che solo uno dei due gruppi poteva ottenere.

L’opera di Muzafer Sherif ha avuto un impatto significativo sulla comprensione dei processi sociali, dell’influenza sociale e della formazione dei gruppi. Le sue ricerche hanno contribuito a delineare i meccanismi di conformità, di competizione e di cooperazione tra i gruppi, e hanno influenzato ulteriori sviluppi nella psicologia sociale.

Come si attenuano i pregiudizi

È possibile attenuare i pregiudizi agendo in due modi:

  • secondo Albert il pregiudizio può essere attenuato grazie al contatto diretto e alla conoscenza personale tra gli individui dei diversi gruppi (outgroup), che permetterebbe una decategorizzazione, consentendo alle persone di incontrarsi come “individui” e non come rappresentanti di una categoria;
  • molto spesso il contatto puro e semplice non è sufficiente per attenuare il pregiudizio. Per raggiungere tale obiettivo è necessario fornire alle persone la possibilità di condividere obiettivi comuni, in grado di rompere le barriere che le dividono.

Dal pregiudizio al razzismo

Quando noi consideriamo gli altri attraverso i pregiudizi, i pregiudizi possono costituire un terreno fertile per una condotta razzista. Il razzismo è una ideologia distorta, fondata sulla convinzione errata che esistano razze biologicamente “superiori” e altre “inferiori”. Va sottolineato il fatto che è stato il razzismo a creare il concetto di “razza”. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che l’umanità deriva da un unico ceppo, di origine africana: dall’Africa in nostri antenati si sono diffusi nei vari continenti, di volta in volta rafforzando i caratteri più adatti a sopravvivere nei vari ambienti (processo di adattamento).

Casi tristemente noti di razzismo si sono avuti nel XX secolo:

  • antisemitismo degli anni 30 e 40, che ha portato alla morte milioni di ebrei da parte dei nazisti del Terzo Reich;
  • apartheid, politica discriminatoria tra la minoranza bianca e la maggioranza nera applicata in Sudafrica.

Ad oggi si va affermando il cosiddetto razzismo differenzialista, che tende a esasperare le differenze culturali tra le diverse comunità etniche e a respingere ogni possibilità di integrazione. Esso può venire utilizzato da forze politiche per ottenere il consenso delle masse.

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